“Continuiamo a scivolare sul vento e sotto le stelle per intrattenere della dolorante ma epica umanità nostra il futuro. Questa volta non più con la scorta audace di un diplomatico americano: cavaliere dell’ideale sceso in guerra agitando i discorsi di Wilson il patriarca, egli cede il passo ad una donna, una studentessa di Verona, Eloisa Garibotto”. Siamo nell’estate del 1918, e tra le pagine della “Rivista dell’Aviazione e delle Nuove Industrie Nazionali” compare l’articolo “Signore prepariamoci a volare” a firma di Renzo Sacchetti. Di che cosa si tratta e chi è il diplomatico americano? In un articolo comparso nel numero del maggio precedente lo stesso Sacchetti scrive un articolo dedicato alle nuove frontiere che aspettano l’aviazione del dopoguerra, non nutrendo affatto dubbi che nel prossimo futuro i cieli saranno solcati anche a considerevoli altezze da apparecchi che solcheranno i cieli collegando i diversi continenti. Ci si interroga sulla capacità dell’uomo di sopportare, dal punto di vista fisiologico, le variazioni anche repentine delle altezze e le ripercussioni sulla pressione sanguigna, sul senso di vertigine e così via. Il diplomatico è un positivista ed è sicuro che l’uomo saprà trovare i necessari adattamenti, così come molte altre volte era accaduto nel passato, ad esempio nel passaggio tra la diligenza e la vaporiera o il transatlantico. Anche le donne sapranno adattarsi ai cambiamenti che il futuro riserverà e gli inconvenienti sperimentati nel passato saranno, anche per loro, un lontano ricordo. Certo che nel suo paese le donne dovranno e sapranno necessariamente prendere parte ai servizi transaerei di pace, aggiunge che per quanto riguarda l’Italia: “…ho i miei dubbi. Da noi sì. Tranne qualche ardita signora o qualche eccentrica, non trovate nel mondo femminile che una grande ammirazione… da terra. Le donne del popolo inorridiscono e fuggono al solo pensarvi”. Eloisa Gambirotto, studentessa di matematica veronese, deve essere rimasta punta nel vivo da queste considerazioni. Prende carta e calamaio e scrive alla rivista. Nel numero di giugno la rivista pubblica la lettera: “ L’ultimo articolo suo nella Rivista…, riferendo le parole di un diplomatico americano, esprime il dubbio che le donne d’Italia siano preparate a volare nel dopo guerra. Il dubbio è, genericamente parlando, fondatissimo. Ma se qualche italiana avesse pronto l’animo per darsi giovalmente e seriamente, come potrebbe perseguire il suo intento? Coloro che dovrebbero iniziarla ed avviarla non si occuperebbero di lei. E però. Molto gentili sarebbero le riviste se pensassero un po’ anche a noi. Io, da quando vidi la prima ala meccanica nel cielo di Verona, ammirai l’aviazione. Ora ci penso con tutta serietà. Ho ventidue anni, ho frequentato i quattro corsi universitari per la matematica e i miei studi non sono in contrasto con l’aviazione, l’aiuterebbero anzi. Ecco io vorrei una parola autorevole che mi incoraggiassero a sperare per l’avvenire o mi desse il consiglio di rinunciare se la mia fiducia di poter volare dopo la guerra fosse una fiducia vana. Mi darà lei, collaboratore della nostra amata Rivista, questa fiducia? Non le sembra che l’argomento meriti la fatica di un artico?”. La risposta di Renzo Sacchetti vorrebbe essere di incoraggiamento e l’ammirazione è evidente: inizia dicendo che in un tempo come il presente, che alla donna ha dato il modo di conquistare posizioni ardue (e di tenerle) nei più disparati campi del lavoro prima posseduti soltanto dagli uomini, non cerchi fiducia e coraggio fuori dall’essere suo. In se hanno trovato fiducia e coraggio gli eserciti di infermiere … che a pace conchiusa (?) conserveranno quelle posizioni negli ospedali, negli istituti con scienza ed esperienza definitive- (…) Io dico alla Signorina Garibotto: “Ha voglia e coraggio di volare? Voli!! (…) Nessun uomo si sentirà di sbarrarle il passo quando si presenterà ad un campo di aviazione”. Ma Sacchetti aggiunge, prigioniero del suo tempo, argomenti contrari di igiene sociale, di carattere fisiologico: “La donna che deve fare figli non è in condizione di reggere alla tensione nervosa necessaria per guidare una macchina nello spazio. Quante sono o, o meglio, furono prima della guerra le donne motoriste d’automobile nel confronto con gli uomini? Pochissime: assai meno numerose delle donne cocchiere e cavallerizze, per esempio”. Il progresso tecnologico tuttavia potrà fare giustizia“ (…) io mi ostino a credere che il velivolo, tolti di mezzo i pericoli derivantigli dalla guerra, sarà la più docile, la più facile macchina a guidare fra quante l’uomo ha creato sin qui, e che la tensione nervosa del pilota apparirà un piccolo sforzo se paragonate a quello necessario per guidare le macchine di terra e di mare”. Anche il diplomatico americano aveva espresso la sua fiducia e concludeva la sua intervista con le seguenti parole: “Ma torneranno sui loro passi anche loro e voleranno. Hanno già “usurpato”, come dicono gli antifemministi arrabbiati, “conquistato” diciamo noi, tante posizioni maschili che non parrà vero alle condottiere del femminismo, uscito più pratico e sano dalla guerra, di lanciarsi alla conquista delle altezze. E noi non sbarreremo loro la via. Fra gli altri benefici, il velivolo avrà quello di segnare il definitivo trattato di pace fra i due sessi”.
Chiara, veronese, classe 1988, vive dal 2003 una seconda vita. Un incidente di macchina, i ricoveri, le riabilitazioni e poi la realtà di una vita in carrozzina hanno fatto di lei una giovane donna decisa e determinata. Certo la sua vita è più complicata della media ma, intervistata dice: Com’è cambiata la mia vita? Beh, ho dovuto tirare fuori tutto il coraggio che avevo dentro, una voglia di vivere che nemmeno immaginavo di avere. Prima ero una forza spenta. Dopo il trauma si è accesa e ora la sfrutto in tutte le occasioni possibili. Oggi vive a Padova, frequenta scienze politiche (2013 n.d.r.), è la capitana della Nazionale azzurra di basket in carrozzina e ha il brevetto di volo. E anche il brevetto e la licenza di tiro a segno, collabora col GALM (Gruppo di animazione per lesionati midollari), gira per le scuole, porta la sua testimonianza per salvare quanti ragazzi può dai pericoli degli incidenti stradali. Il volo per lei rappresenta qualcosa di speciale. “Tutto è iniziato per caso: un giorno vengo invitata ad una festa in avio superficie a Caposile e mi trovo catapultata in un mondo nuovo ma da subito molto affascinante! Quel giorno, alla festa, vedo volare per la prima volta la pattuglia composta da piloti disabili, quelli del WeFly team. Salgono sull’aereo con una velocità e disinvoltura che colpisce anche me. Una volta in cielo lo spettacolo è da pelle d’oca e penso “dateci i mezzi e noi riusciamo veramente a fare di tutto anche se disabili”. “Mesi dopo qualcuno mi parla del progetto “Volere Volare” promosso dall’UNITALSI, inteso a finanziare diversi brevetti a persone con disabilità. Ho preso l’occasione al volo”. La prima cosa che ho pensato trovandomi vicino ad un aereo è stata ovviamente “e ora come ci salgo qui?”. Non ci vuol molto comunque ad imparare: mi posiziono con la carrozzina dando le spalle all’ala, mi allungo sullo schienale della carrozzina a da lì salgo sull’ala. A questo punto infilo le gambe in cabina e mi sposto sul sedile. Durata dell’intera operazione tre minuti. Una volta imparata la tecnica tutto è diventato semplice, un po' come ogni cosa, del resto. Lo stesso vale per la pratica in volo! L’emozione più forte è stata il primo volo in solitaria. L’istruttore scendendo dall’aereo mi guarda e dice: “Bene, adesso vai da sola; fai un paio di atterraggi” Quello è stato il momento più bello che ricorderò per sempre. Il cuore batteva a mille, continuavo a ripetermi “concentrata Chiara, stai concentrata, mantieni la calma!”. Decollo. Non mi sembra vero. Sono orgogliosa di me e del lavoro che ho fatto. Cerco di rimanere concentrata e seria, ma dentro rido di gioia perché provo una soddisfazione enorme. In un attimo mi ritrovo sul mare, però l’emozione e l’agitazione mi impediscono di godere del panorama, e già sono pronta per atterrare. Inizio le manovre e dalla base il mio istruttore mi comunica via radio che la pista è tutta per me! Un tuffo al cuore, e mi ritrovo a terra. L’adr4enalina scende e comincio a tremare. Alzo il cupolino, mi rendo conto di essere tutta sudata. Continuo a ridere, non ci posso credere. Ho volato da sola! Mai ho provato nella mia vita una sensazione così bella … ero libera, in aria e mi sembrava di dominare l’intera laguna di Venezia!. (Tratto da: Più leggere dell’aria, cento anni di volo femminile di Rosellina Piano)
Elena Merletti nacque a Verona l’8 gennaio del 1915 e la sua vita non fu subito facile. Nata da madre tedesca, peraltro giovanissima, e da padre veronese fu costretta, a pochi mesi dalla nascita, a lasciare la Germania insieme al proprio padre a causa dell’entrata in guerra dell’Italia. Ciò comportò il distacco dalla mamma che rimase in Lorena e che Elena non sarebbe più riuscita a rivedere, mentre il papà fu richiamato al fronte. La piccola fu così affidata temporaneamente ai nonni paterni che non sentendosi in grado di gestire un neonato decisero di affidare Elena all’asilo infantile deputato all’accoglienza dei bambini figli di richiamati sotto le armi. La bimba, troppo piccola per rimanere nella struttura, fu presto accolta in casa delle signorine Tea, Eva e Maria, dove quest’ultima prestava opera come volontaria. Elena rimase alcuni anni presso le signorine instaurando con loro un rapporto strettissimo per poi, finita la guerra, essere richiesta dal padre Leonardo a Roma dove egli aveva trovato lavoro presso il Banco di Roma e dove aveva formato una nuova famiglia non essendo più riuscito a ricongiungersi con la madre di Elena. Il “periodo romano” non durò a lungo in quanto si crearono presto incomprensioni con la matrigna per cui la dodicenne decise di ritornare da Maria ed Eva. Elena considerava quella la sua famiglia, in particolare Maria rappresentava la mamma che non aveva mai avuto. Gli anni passarono ed Elena dimostrava di avere un carattere forte e tanta voglia di vivere anche affrontando situazioni che le donne dell’epoca non pensavano neppure di sostenere, fu così che appassionandosi al volo decise di farsi spostare dalla federazione fascista, dove lavorava come segretaria e dove aveva avuto modo di conoscere vari piloti, all’aeroclub di Boscomantico sempre con la stessa mansione. Non tardò molto a decidere di affrontare in prima persona l’elemento che riteneva per lei quasi innato: l’aria! Era il 1937 e, sotto la guida dell’istruttore Franchini, conseguì l’agognato brevetto di volo. La giovane Elena si procurò anche la patente d’auto e durante la seconda guerra mondiale ebbe anche l’incarico di trasportare il Prefetto. La mamma, ora sono io che parlo, unica figlia avuta dal suo matrimonio, mi ha sempre raccontato di “sentire” l’aria, di provare grande libertà attraverso il volo e di percepire l’avvicinarsi della pista durante l’atterraggio, suo punto di forza. Sicuramente per lei questo elemento così impalpabile e leggero ma anche forte tanto da riuscire a sostenere un aereo rappresentava la possibilità di staccarsi da quel mondo che non le è stato sempre amico. (Dal Notiziario del Circolo del 72. n. 39)