Ten. Pilota Aldo Finzi di Legnago
Allampanato e gesticolante, sempre in eterna
discussione coi compagni e coi superiori, così lo raffigurò Nello Marani di
Verona, nelle caricature dei piloti della Serenissima allineate nella sala
dove i piloti dell'87^ vivevano le ore di attesa e di riposo. Sottotenente del 21° Reggimento di Artiglieria da
Campagna, Aldo Finzi, fu ammesso il 13 aprile del 1916 tra il personale
aeronautico ed assegnato alla scuola di pilotaggio di Mirafiori, dove
ottenne il primo brevetto da pilota sul velivolo Caudron da 80 Hp. Al
termine del corso (giugno 1916) passò sul campo milanese di Malpensa per
conseguire il secondo brevetto di volo con l’apparecchio Farman. Il 26
agosto fece di nuovo ritorno a Mirafiori per istruirsi sul Caudron bimotore,
e finalmente, il 7 ottobre fu assegnato la suo primo reparto operativo, in
zona di guerra, la 48^ squadriglia. Il 10 agosto 1917 fu trasferito presso
la 43^ squadriglia. Dopo oltre un anno di intensa attività,
il 15 novembre del 1917, raggiunse il campo
di Malpensa per effettuare il passaggio sul velivolo Nieuport per poi
proseguire per la scuola tiro di Furbara, nei pressi di Roma. Dopo dieci
giorni, era di nuovo sul campo milanese per effettuare il passaggio sul
nuovo velivolo SVA. Posto a disposizione del Comando generale fu assegnato
al 3° Centro di Formazione
Squadriglie sull’aeroporto bergamasco di Ponte San Pietro. Il 26 gennaio
1918 entrò a far parte della nuova formazione armata di velivoli SVA, la 87^
Squadriglia “Serenissima”, dove rimase fino al 21 agosto. Assegnato alla 1^
sezione SVA vi rimase fino al termine delle ostilità. Il 12 novembre 1918 fu
trasferito al Commissariato Generale di Aeronautica. Fu posto in congedo il
25 settembre del 1919. Fu richiamato in servizio con il grado di Maggiore il
1 aprile 1936 e due mesi dopo fu posto nuovamente in congedo. Aldo Finzi fu decorato con due medaglie d’argento al
valor militare e una medaglia di bronzo. Dal libretto di volo risulta che
Aldo Finzi compì il suo ultimo volo il 3 febbraio 1939 a bordo di Ca.100.
L'esordio bellico di Finzi avvenne con la 48^ Squadriglia nei cieli
cadorini, dove iniziò i voli il 14 ottobre 1916. Il 28 dicembre con a bordo
l'osservatore Ten. Del Sole effettuò la sua prima ricognizione sulle linee
nemiche nella zona della Val d'Astico, seguita da un'altra crociera il 6
gennaio. Il 18 marzo, nel corso di una missione analoga, inseguì un
velivolo austriaco oltre le linee sparandogli contro 20 colpi. il 24 e il 26
aprile volò lungamente nel corso di due ricognizioni, la prima sulla Val di
Fiemme e la Val d'Adige, la seconda sui cieli del Tirolo fino a Chiusa e
Franzensfeste (Fortezza). Il 3 maggio fu attaccato da un apparecchio nemico e costretto a
planare dopo aver incassato 5 colpi e averne sparati 50. Un altro
combattimento aereo fu sostenuto il 3 giugno, con a bordo l'osservatore Cap.
Del Sole sulla Val d'Adige. Anche questa volta sparò 50 colpi di
mitragliatrice. il giorno 8 ebbe il velivolo colpito in quattro punti dal
fuoco della contraerea austriaca, mentre il 14 sulla Valsugana, nonostante
la presenza di una forte reazione contraerea, riuscì ad abbassarsi fino a
1200 metri per fotografare le posizioni di Borgo. Sullo stesso cielo, il 19
giugno sparò un intero caricatore su un velivolo austriaco. Sempre in
giugno, il 29, fu costretto ad atterrare a Fiera di Primiero per la rottura
di un tubo dell'olio del motore destro. L'esordio con la 43^ fu con un
incidente di volo durante una missione di controbatteria il 22 agosto. A
causa delle vibrazioni del velivolo si ruppe un accumulatore della radio e
l'acido versato provocò la corrosione immediata della tela del pavimento. La prima missione di guerra con la
Serenissima la compì il 18 marzo con una lunga ricognizione sulla Val
Giudicaria, la Val di Non e la Val d'Adige, nel corso della quale sostenne
anche un combattimento aereo. Il giorno dopo, a bordo di uno SVA si
portava sulla Val di Sole, sul Passo della Mendola e su Bolzano. Dal 4 al 9
maggio eseguì una serie di bombardamenti e ricognizioni su Stenico, Campo
Maggiore e la Val di Sole. Come è noto, il 9 agosto, insieme a altri 6
velivoli, riuscì a portare a termine l'azione dannunziana su Vienna con un
volo di 395 minuti. Con la 1ì Sezione Sva del 3° Gruppo aeroplani
iniziò a volare il 9 settembre e il 14 e il 15 portò a termine due
ricognizioni nella zona degli altipiani. Il 18 settembre effettuò una
crociera sui cieli tra il lago di Ledro e Rovereto. A guerra conclusa, il 9
novembre 1918, compì un lungo volo sul Tirolo e atterrò sull'ex campo
austriaco di Gardolo, vicino a Trento.
La tradizione assegna il nome “padre dell’Aeronautica”
a Italo Balbo, il cui settennato vide l’aviazione militare e civile italiana
raggiungere un livello di sviluppo e popolarità mai più toccato in seguito.
Dal punto di vista strettamente cronologico l’appellativo spetterebbe
tuttavia ad Aldo Finzi, un personaggio sinora trascurato dagli storici
nonostante la sua biografia sia fatta della stessa stoffa dei romanzi.
Giornalista, sportivo, commerciante di motociclette, volontario ed eroe in
guerra, squadrista, deputato e sottosegretario fascista, fondatore di una
forza armata, dimissionato da Mussolini, poi agricoltore, inviato al
confino, infine ucciso dai tedeschi per il duplice motivo di essere
partigiano ed ebreo: questa, per sommi capi, l’avventura umana di Aldo Finzi
che, nonostante abbia giocato un ruolo non piccolo nella prima affermazione
del fascismo, viene oggi ricordato di sfuggita solo perché sfiorato
dall’affare Matteotti. Proprio a questo episodio si deve, anzi, non solo il
prematuro abbandono del vertice politico, ma anche il velo di silenzio che
ancora oggi ne avvolge la figura.
La giovinezza
I primi anni di vita di Aldo Finzi, nato il 20 aprile 1891 a Legnago
(Verona), si caratterizzarono per un ingegno vivace, una grande indisciplina
e un’altrettanto spiccata vocazione alla meccanica. Il padre Emanuele
possedeva tre mulini e, benché di famiglia ebraica, non professò mai alcuna
religione. La famiglia era piuttosto benestante, con un reddito annuo di
125.000 lire nei primi anni Venti. Dopo alcune vicissitudini scolastiche,
Aldo Finzi frequentò per tre anni l’istituto tecnico di Neu Strelitz, vicino
a Weimar. Rientrato in Italia a vent’anni, iniziò a scrivere come
giornalista sportivo prima per il Corriere del Polesine di Rovigo e poi per
il Corriere del Mattino di Como. Giunto a Milano, si avvicinò, oltre che
all’ambiente sportivo, a quello industriale e, tramite Celestino Usuelli, a
quello aviatorio. Nel 1912 Finzi fu infatti copilota di Usuelli alla Coppa
Gordon Bennett per palloni sferici: gli aeronauti italiani si classificarono
secondi, coprendo 950 km. All’attività giornalistica Finzi attaccò quella
motociclistica, partecipando a numerose gare e divenendo rappresentante a
Badia Polesine della Rudge-Witworth.
La prima guerra mondiale
Allo scoppio della guerra Finzi, pur già riformato per deficienza toracica,
riuscì a frasi accettare dal Regio Esercito. Il 29 giugno 1915 era soldato
volontario nella 6^ compagnia automobilisti del Reggimento Artiglieria a
Cavallo con funzioni di staffetta motociclistica. Aspirante ufficiale di
complemento in artiglieria del 21° Artiglieria da Campagna nel gennaio 1916.
Ma vi rimase poco, perché riuscì presto a farsi comandare al Battaglione
Aerostieri, poi al Corpo Aeronautico, giungendo al Battaglione Scuole
Aviatori dove divenne infine Allievo Pilota il 30 giugno di quell’anno.
Proprio il pilotaggio costituì un punto chiave della vita di Finzi. Infatti,
promosso tenente, venne assegnato alla 48^ Squadriglia Aeroplani, dove
iniziò subito un intensa attività di ricognizione, pericolosa e poco
gratificante perché condotta con i già superati biplani Caudron G.3 e G.4.
Presso la 48^ conobbe Natale Palli, che a fine 1917 lo avrebbe invitato a
raggiungerlo a Ponte San Pietro (Bergamo) ove era in corso di costituzione
la 87^ Squadriglia. Una ricognizione strategica in Val d’Adige e fino a
Bolzano del 24 aprile 1917 gli valse, con la successiva missione su Fortezza
e Bressanone, una medaglia di bronzo sul campo, e due mesi dopo la foto di
Finzi col suo aereo comparve sul Secolo Illustrato. Il 16 agosto 1917 fu
trasferito alla 43^ Squadriglia, dove rimase fino a novembre. Il 17 dicembre
Finzi raggiunse definitivamente la 87^ Squadriglia. Composta quasi
interamente di giovani aviatori veneti, che la battezzarono “La Serenissima”
ed adottarono l’augusta insegna del Leone di S. Marco, l’87^ fu dotata del
nuovo e velocissimo ricognitore Ansaldo SVA. Fu qui che Finzi entrò
pienamente nell’ambiente al tempo stesso esaltato e patriottico, tecnici
stico ed informale che, mescolato ad altre tendenze già presenti nella
società italiana, nel dopoguerra avrebbe partorito quel cocktail di
insoddisfazione e violenza che Mussolini cavalcò spregiudicamente sino a
plasmare il fascismo. Come recita la motivazione della sua prima medaglia
d’argento, nella primavera del 1918 Finzi “di ritorno da una ricognizione
durata quasi tre ore, avvertito da colpi antiaerei che apparecchi nemici
volavano sul nostro territorio, nei pressi di Mori, vi accorreva, trovando
un apparecchio da ricognizione, scortato da due caccia. Attaccava risoluto,
metteva in fuga gli apparecchi da caccia ed abbatteva l’apparecchio da
ricognizione”. Quando nel 1918 D’Annunzio scelse l’87^ Squadriglia per
realizzare l’antica ambizione di violare il cielo di Vienna, Finzi fu uno
dei sette piloti che riuscirono a portare a termine l’impresa. Durante la
permanenza con l’87^ il pilota polesano unì all’intensa attività di volo
anche funzioni tecniche: sua è ad esempio la Relazione sul Funzionamento e
Consumo di apparecchio e motore nel volo S. Pelagio-Vienna e ritorno.
L’ardita missione gli valse una seconda medaglia d’argento. Alcuni documenti
illuminano il carattere dell’aviatore polesano. Un rapporto informativo in
data 25 agosto 1918 gli attribuiva “carattere vivace, facilmente eccitabile,
spirito critico ma in fondo buono”. Cosa queste parole indicassero è
chiarito dal rapporto sull’87^ Squadriglia redatto il 20 agosto 1918 dal
Tenente Colonnello Carta. Esaminando l’imbarazzante inefficienza in cui il
reparto era precipitato dopo il celebre volo, Carta scoprì come l’autorità
del Capitano Masprone, che comandava il reparto ma volava pochissimo, fosse
contestata da Finzi e Locatelli che per la loro maggiore esperienza
intervenivano nella gestione del reparto contro ogni norma disciplinare. La
situazione degenerò al punto che Masprone fu esonerato dal comando (passato
a Palli), Finzi trasferito alla 1^ Armata, e Locatelli alla squadra
Siluranti Aeree di D’Annunzio. Altri quattro piloti furono trasferiti per
scarso rendimento. L’episodio conferma un po’ tutte le sfaccettature di Aldo
Finzi:capace, deciso, irruento. Caratteristiche che avrebbe mantenuto sino
alla morte. Comandato alla Direzione tecnica dell’Aviazione Militare di
Torino, dal 31 gennaio 1919 Finzi fu “esonerato fino a nuovo ordine dal
Comitato Centrale esoneri temporanei per conto della ditta (paterna) “Mulini
a Cilindro Emanuele Finzi”. Anche se il congedo definitivo gli giunse
solamente il 30 settembre, Finzi era già libero di reinserirsi nella vita
civile. Il fratello ci testimonia che già dalla metà dell’anno Aldo si
trovava a Milano per riprendere i contatti commerciali con l’ambiente
motociclistico, e in effetti in giugno ricevette un encomio dal comandante
della divisione territoriale di Milano “per aver dato manforte alla forza
pubblica nell’arresto di un facinoroso che sparava all’impazzata”.
L’avvicinamento al fascismo non fu immediato, e infatti l’iscrizione ai
fasci gli venne registrata nel gennaio 1920. Sulle motivazioni di questa non
possiamo dissentire dalla testimonianza di Gino Finzi: “si deve più al
comune ideale nazionalista che alle ancor confuse. Proclamazioni
politico-sindacali” sansepolcriste. Attribuendo l’atroce fine del fratello
alla propria antica milizia politica, Gino Finzi ha scritto di essere
tormentato dal rimorso per aver indotto Aldo a candidarsi per le elezioni
legislative del maggio 1921 nella circoscrizione polesana. Pur comprendendo
il dolore, occorre precisare che la documentazione impone di collocare la
milizia politica attiva di Aldo Finzi in un periodo precedente. Il prestigio
dell’uomo e le sue indubbie doti di passione ed oratoria ne garantirono
l’affermazione nelle elezioni del 1921. Sino alla marcia su Roma, Finzi fu
impegnato spasmodicamente nell’azione politica divenendo uno dei più stretti
collaboratori di Mussolini. Dell’intero periodo milanese spiccano due
episodi che ancora una volta servono ad inquadrare la persona: il 1° agosto
1922 si distinse alla guida di un tram milanese in un’operazione per
contrastare lo “sciopero legalitario” indetto dai partiti di sinistra. Poi,
nei giorni di ottobre, svolse diverse azioni di grande delicatezza, tra cui
quella di convincere Albertini a sospendere per 24 ore la pubblicazione del
“Corriere della Sera”. Pochi giorni dopo, Finzi era a Roma per preparare
Mussolini all’incontro con Vittorio Emanuele III.
Al Viminale L’importanza assunta da Finzi all’interno del fascismo era rispecchiata
dalla composizione del primo gabinetto Mussolini, nel quale lo squadrista
era sottosegretario agli Interni e braccio sinistro di Mussolini, il destro
dovendo probabilmente considerarsi il sottosegretario alla Presidenza,
Acerbo (tra l’altro suo acerrimo nemico). Al Viminale Finzi svolse compiti
piuttosto delicati. A parte alcune questioni marginali (quali la presidenza
del CONI) e l’uso politico fatto del suo matrimonio con Mimì Clementi per
forzare un riavvicinamento tra Chiesa e fascismo, Finzi dovette garantire
che l’apparato statale appoggiasse il regime; imbrigliare le frange
violente del fascismo per accreditare una nuova immagine legalitaria del
movimento; normalizzare l’opposizione (un esempio su tutti: la dura
battaglia contro gli scout cattolici); e gestire strutture parallele ed
oscure, come quelle che giravano attorno a quel “Corriere Italiano” il cui
nome ricorrerà spesso nel caso Matteotti. Com’era prevedibile, dato il modo
in cui il fascismo era giunto al potere, la gestione Finzi degli Interni fu
subito oggetto di critiche piuttosto vivaci e che hanno lasciato un segno.
Vi erano accuse sui catarifrangenti delle biciclette, che i maligni dicevano
addottati perché Finzi era cointeressato alla loro produzione (la smentita
sdegnata di Gino Finzi è confermata dalle carte del fondo Finzi
dell’Archivio Centrale di Stato, in cui non vi traccia lacuna di
catarifrangenti); gli stabilimenti termali (pure senza riscontri nelle
carte); la presentazione, sollecitata a titolo oneroso dai potenziali
gestori, di un Decreto Legge disciplinante la materia della case da gioco
(Finzi dichiarò che il decreto era dovuto all’iniziativa di Mussolini e De
Bono; nelle carte vi è comunque un accenno al polesano Giuseppe Bulgarelli
che, appartenendo al giro di amicizie di Finzi, avrebbe ottenuto una
tangente per favorire una casa da gioco di Como); rapporti preferenziali con
l’Alfa Romeo; accuse (da parte del deputato repubblicano Eugenio Chiesa) di
infedele dichiarazione dei redditi, ambigue operazioni borsistiche e cosi
via. Se a tanti anni di distanza è difficile provare la consistenza reale di
voci e accuse, è certo che al momento della crisi Matteotti il
sottosegretario Finzi era un uomo chiacchierato.
La nascita della Regia Aeronautica Anche nella turbolenta Milano del dopoguerra Finzi rimase in contatto con
gli ambienti aviatori partecipando a tutti i principali eventi, dalla
Federazione Italiana Aeronauti (7 dicembre 1919), all’inaugurazione del
monumento a Emilio Pensuti (18 giugno 1920) alla conferenza alla Scuola
Libera Politecnica (17 ottobre 1922), e addirittura figurando nella
redazione romana de “L’Ala d’Italia”. Queste ed altre manifestazioni fecero
di Finzi il candidato naturale a guidare l’aeronautica nel primo gabinetto
fascista. Mussolini, grande appassionato di volo, volle attribuirsi il ruolo
di Commissario all’Aeronautica; ma i suoi più pressanti impegni e la maggio
competenza specifica lasciarono la gestione affidata al Vice Commissario
Finzi. Nel corso della violenta campagna di stampa contro coloro che
ritenevano responsabili dello smantellamento dell’aviazione italiana, i
piloti fascisti avevano presentato un ordine del giorno che richiedeva “1°)
l’istituzione di un ente dirigente responsabile di tutta l’aviazione; 2°)
l’istituzione di un armata aerea autonoma; 3°) la riunione delle capacità
industriali, tecniche, professionali e finanziarie per l’istituzione di una
grande società trans aerea; 4°) assegnare all’Associazione Nazionale Piloti
Aeronauti il controllo sull’attività, allenamento e tenuta all’efficienza di
tutto il personale”. I primi due punti vennero fatti propri dal Commissariato
creato dal R. Decreto n. 62 del 24 gennaio 1923; gli altri decaddero
silenziosamente. Fu poi Finzi a stendere, se non a ideare, il R.D. n. 645
del 28 marzo 1923 che creava la Regia Aeronautica indipendente. Finzi trovò
una forza armata certamente scossa e confusa dalle numerose riorganizzazioni
dei cinque anni precedenti, come pure dall’incerta situazione politica. Pur
non toccando mai i livelli citati dalla propaganda fascista in un balletto
di cifre che lascia sconcertati, anche il parco macchine aveva subito un
grave scadimento. La questione più spinosa da affrontare, e forse quella
meno adatta al temperamento vivace di Finzi, riguardava l’ordinamento e
l’avanzamento dei quadri. Bisognava infatti ricostruire ed equiparare, ai
fini normativo-economici, le eterogenee carriere del personale effettivo e
di complemento confluito dall’Esercito e dalla Marina: problema acuito dalla
necessità di “verticalizzare” il corpo ufficiali per poter disporre degli
ufficiali cui affidare gli incarichi più importanti. Era un compito
ingrato, che avrebbe riservato amarezze a chiunque. Sotto Finzi si ebbe
comunque un certo miglioramento della preparazione militare, accompagnato a
una qualche crescita numerica. L’episodio più noto fu la grande parata del
novembre 1923 per celebrare il quinto anniversario della vittoria: i 260
velivoli radunati rappresentavano i nove decimi della forza disponibile.
Meno note, ma più importanti, le manovre compiute sul lago di Garda
nell’agosto 1923. Dal suo ufficio al Viminale Finzi guidò l’Aeronautica sino
al giugno 1924. La ricostruzione minuziosa dei venti mesi della gestione
Finzi è difficile, ma bisogna comunque osservare come, nel quadro del
riordino generale, furono create tanto l’Accademia Aeronautica quanto il
Genio Aeronautico. Furono poi banditi i concorsi per i velivoli terrestri da
caccia e bombardamento notturno, e per un idrovolante da bombardamento e
silurante: i vincitori costituirono per molti anni la dotazione standard
della forza armata. La mancata accettazione da parte di Douhet del ruolo
offertogli da Mussolini comportò però la permanenza alla Direzione Generale
dell’aviazione militare del generale Riccardo Moizo che, legato alle
esperienze della prima guerra mondiale, concepiva per l’Aeronautica un ruolo
ausiliario alle forze terrestri impegnate in un confronto in trincea.
Ulteriori limitazioni derivavano dalle ristrettezze di bilancio. Il
preventivo di Moizo del 1923-24 indica come venissero ripartiti i tagli: i
120 milioni per apparecchi nuovi e parti di ricambio previsti dal bilancio
di 400milioni divenivano 52 nell’ipotesi ridotta a 280 milioni; la
sistemazione di campi ed idroscali passava da 52 a 10, e così via. Non
crediamo perciò che lo stanziamento di 256 milioni per il periodo luglio
1923-giugno 1924 possa definirsi, come hanno fatto alcuni autori recenti,
“sostanzioso”. Di fronte all’insufficienza del bilancio preventivo per il
1924-25, Finzi indirizzò addirittura a Mussolini una vivace lettera di
dimissioni. Con tutto ciò, anche la storiografia più severa concorda sul
fatto che “Aldo Finzi lasciò al suo successore, il Generale Alberto Bonzani,
un’organizzazione bene avviata. E nonostante le ricorrenti accuse di
affarismo, Mussolini non mosse a Finzi alcun rilievo sull’aeronautica.
Il 10 giugno 1924, pochi giorni dopo aver denunciato alla Camera le
illegalità della recente campagna elettorale, il deputato unitario Giacomo
Matteotti fu rapito da una squadraccia guidata da Amerigo Dumini. Il
cadavere fu ritrovato oltre due mesi dopo, quando già da tempo circolavano
voci sulle responsabilità governative dell’assassinio e dei tentativi di
intralciare le indagini. Assieme ad altri esponenti di cui si vociferava. La
responsabilità, Finzi fu bruscamente dimissionato il 17 giugno, ma fu solo
dopo il 3 gennaio 1925 che Mussolini, riuscì a riprendere il controllo della
situazione. Pur essendo Finzi e Matteotti su posizioni ideologicamente
opposte e di naturale contrasto, nessuna traccia rimane di loro eventuali
precedenti rapporti. Benché come polesani i due dovessero certamente
conoscersi, nei pochi discorsi elettorali di Finzi del 1924 giuntici in
forma scritta Matteotti è oggetto di un solo, laterale riferimento nel
discorso di Venezia. Gli storici Rossini e De Felice hanno riportato le voci
che nel giugno 1924 correvano sul coinvolgimento di Finzi nella scomparsa di
Matteotti. In un caso si sarebbe trattato di un modo per evitare che il
socialista potesse denunciare i rapporti del sottosegretario con “coacervo
industriale-giornalistico che aveva dato vita e ruotava attorno al Corriere
Italiano” – evidentemente uno dei molti modi in cui si potevano leggersi le
accuse fatte in Parlamento da Matteotti; nell’altro, si accusava Finzi di
essere il capo morale della squadra che aveva eseguito il rapimento e
l’uccisione di Matteotti. Altra questione dibattuta riguarda il “memoriale”
scritto da Finzi per tutelare la propria onorabilità e sicurezza personale.
Le voci sulla sua esistenza si erano diffuse abbastanza velocemente, e
l’Archivio Centrale dello Stato conserva la minuta di una lettera di Finzi a
Farinacci per negare di aver ammesso per iscritto l’esistenza della squadra
del Ministero degli Interni. Era però una difesa d’ufficio: troppi erano
pronti a testimoniare dell’esistenza dello scritto, come lo stesso Finzi
finì per ammettere al processo De Bono. La versione di famiglia è nota
tramite Michelangelo Bellinetti, che ha raccolto e pubblicato in più
occasioni le testimonianze di Gino Finzi: si sarebbe trattato di una lettera
privata affidata da Aldo al fratello, e da questi distrutta. Sul contenuto
Gino Finzi tacque fino all’ultimo, anche se si può supporre che il testo
descrivesse l’esistenza, l’organico e la dipendenza della Ceka, con evidenti
implicazioni di responsabilità. Sul ruolo esatto di Finzi è difficile
pronunciarsi: se Cesare Rossi, suo avversario non meno di Acerbo, ha scritto
che fu Finzi a consegnare a Dumini il denaro per la fuga, proprio il
memoriale di Dumini lo solleva da ogni responsabilità. D’altronde nel 1989
lo storico Valentino Zaghi ha concluso che le “le risultanze processuali de
1926 e ancora del 1947 escludono qualsiasi coinvolgimento (di Finzi)
nell’assassinio. A Finzi non fu tanto fatale la presunta responsabilità
quanto il marchio d’inaffidabilità derivante gli dai contatti con
l’opposizione e il memoriale. Dopo il siluramento Finzi conservò comunque il
mandato parlamentare sino alla naturale scadenza, nel 1929. A precluderne
l’eventuale recupero (come sarebbe poi avvenuto con De Bono e Marinelli, che
avevano accettato più compostamente il proprio dimissionamento) contribuì
probabilmente il violento alterco che nel gennaio 1926 lo vide scontrarsi
con Pino Bellinetti, Casalini e Piccinato, che ormai controllavano il
fascismo polesano.
L’epilogo Sfruttando alcuni terreni della moglie, Finzi si trasformò allora in
agricoltore fino a divenire uno dei principali coltivatori di tabacco del
Lazio. Si mantenne in contatto con l’ambiente aviatorio, frequentando almeno
fino al 1938 l’aeroporto del Littorio (oggi Roma Urbe) quale ufficiale della
riserva per mantenere in validità il brevetto di pilotaggio. I rapporti lo
dichiaravano sempre “ottimo pilota con punti 19/20”. In seguito alle leggi
razziali, dichiarò di non appartenere alla “razza ebraica e di professare la
religione cattolica. Raggiunse successivamente il grado di tenente
colonnello nella riserva. Per alcune affermazioni contro il regime, nel 1941
fu inviato al confine, dapprima ad Ischia, poi a Ustica, alle Tremiti e
infine a Lanciano. Nel novembre 1942 fu espulso dal PNF. Con la caduta del
fascismo tornò a Palestrina dove, nonostante ad esporlo a gravi rischi
bastasse il nome ebraico e benché la sua casa fosse occupata dai tedeschi,
si impegnò in un’attività partigiana. Secondo alcune testimonianze si
sarebbe anche avvicinato alla comunità ebraica romana. Il 28 febbraio 1944
fu arrestato a Palestrina dalle SS e tradotto al carcere romano di Regina
Coeli. Il 24 marzo successivo fu condotto alle Fosse Ardeatine e ucciso,
assieme ad altri 334 sventurati. Quando dopo la liberazione di Roma il
professor Attiliio Ascarelli, esperto di medicina legale dell’Università di
Roma, poté dedicarsi al penoso compito di identificare e seppellire i poveri
resti, la centoventiduesima salma rinvenuta fu quella di Aldo Finzi.
Qualunque possa essere il giudizio su di lui, il grande sarcofago in pietra
nel sacrario delle Fosse Ardeatine testimonia che Finzi pagò di persona.
(G. Alegi, articolo cortesemente concesso da
Rivista di Storia Militare)